L'ARCHIVIO
L’importanza dell’archivio
Per archivio si intende una raccolta organizzata e sistematica di documenti di diversa natura (atti, scritture private e altri documenti originali) prodotti e/o acquisiti da un soggetto pubblico o privato, da enti, istituzioni, famiglie o persone, nel normale esercizio delle proprie funzioni, durante lo svolgimento della propria attività, e custoditi in funzione del loro valore di attestazione e di tutela di un determinato interesse. L'interesse potrà essere di varia natura: politico-sociale (amministrativo, giudiziario, scientifico, militare, religioso...) o patrimoniale.
In secondo luogo, per estensione, con "archivio" si designa anche l'ente che ha il compito istituzionale di tutelare e valorizzare un insieme di documenti (ad es. Archivio di Stato ) e i locali destinati alla loro conservazione.
Un archivio nasce innanzitutto quando un soggetto, detto "produttore" (di documentazione), decide di conservare le testimonianze delle proprie operazioni: a questa decisione è legata la convinzione che tali documenti possano tornare ad essere utili in un futuro più o meno vicino, per questo se ne evita la distruzione. Nelle fasi iniziali la conservazione dei documenti ha essenzialmente finalità pratiche, amministrative e giuridiche, mentre solo col passare del tempo, mentre questi interessi vanno sfumando o decadendo, subentra un altro valore, di tipo storico, legato alla ricerca della conoscenza del passato, da parte degli studiosi. La vita di un archivio si muove su una coordinata temporale (verticale) che va dalla nascita alla chiusura dell'archivio (l'"archivio morto", cioè il cui soggetto produttore non produce più documenti per la cessazione dell'attività, e quindi non è più soggetto agli accrescimenti), fino all'ipotetica data della distruzione dell'archivio. Inoltre l'archivio si riferisce a un determinato territorio ed a una serie di soggetti col quale il soggetto produttore interagisce (coordinata orizzontale). Fondamentale è poi il concetto di "ordine", che serve per garantire una struttura logica e utile per la consultazione, anche se non incide la natura dell'archivio stesso: un archivio disordinato resta sempre un archivio, magari in attesa dell'inventariazione e del riordino, mentre un archivio senza vincolo non è un archivio
Archiviazione tradizionale o digitale?
Nonostante la sicurezza e la praticità offerte dai servizi di archiviazione digitale, è necessario mantenere le copie cartacee di certi documenti.
Infatti, sebbene si possano mantenere i vecchi file “occupa-spazio” esclusivamente online, è obbligatorio archiviare fisicamente contratti, fatture e parcelle recanti la firma originale.
Dopo aver stampato tutto e averne scannerizzato una copia da mantenere online, è necessario servirsi di raccoglitori, porta progetti, cartelle e faldoni, per tenere sempre a portata di mano i documenti strettamente necessari. In questo modo si occupa meno spazio, non si rischia di perdere dati importanti e si mantiene un ambiente di lavoro organizzato e pulito.
In conclusione, si può affermare che nessuno dei due metodi sia migliore dell’altro ma che entrambi, con i loro aspetti positivi e negativi, possono garantire la sicurezza e la protezione dei dati.
Digitale e cartaceo al giorno d’oggi coesistono e sono a tal punto complementari che non si potrebbe immaginare l’uno senza l’altro.
La storia dell’archivio
Dall'Impero Romano primordiale alla caduta
Gli archivi, intesi come testimonianza dell'attività umana, sono sempre esistiti in quanto l'archivio serve all'uomo per la sua attività quotidiana. Le prime testimonianze di archivio risalgono all'epoca dei Sumeri (III millennio), quando cioè risalgono i primi supporti stabili[ I Sumeri, infatti, furono un popolo che si legarono in civiltà stabile, svilupparono la scrittura (scrittura cuneiforme = 3500 a.C.) e avevano un bisogno di lasciare testimonianza delle loro attività quotidiane (come i commerci, esercizi contabili).
Al contrario, presso i gli antichi greci e la civiltà romana i supporti utilizzati (tavole di cera e papiro) non permisero la conservazione degli archivi statali e privati per un lungo periodo: dei rotoli conservati al metroon di Atene o di quelli del Tabularium tardo-repubblicano non si è conservato assolutamente nulla, così come dell'archivio d'età Imperiale.
Il Medioevo
In seguito al crollo dell'Impero Romano d'Occidente e la confusione generata dagli sconvolgimenti socio-politici successivi, la documentazione prodotta durante l'Alto Medioevo è alquanto esigua: da un lato, furono prodotti pochi documenti (o se ne sono conservati pochi) da parte delle cancellerie dei regni romano-barbarici; dall'altro, i sovrani e anche le autorità ecclesiastiche locali (vescovi, abati) avevano l'abitudine di portare con sè la documentazione archivistica, delineando così la nozione di archivi itineranti, concezione che rimarrà in uso fino al XII secolo. Al contrario, un ruolo fondamentale per la conservazione dei documenti è stata la Chiesa: grazie ai monasteri, nei cui scriptoria operavano i monaci amanuensi dediti alla conservazione della memoria classica e alla produzione di Bibbie o Evangeliari, molta documentazione fu salvata dall'oblio, grazie anche all'imporsi, a partire dalla tarda antichità, dell'utilizzo della pergamena come materiale scrittorio.
Al contrario, con il Basso Medioevo (XI-XV secolo), la rinascita delle città e dei commerci produsse una rifioritura delle città e una maggiore laicizzazione, per quanto fosse possibile, della società: si vennero a creare così gli archivi comunali e quelli dei notai, a fianco sempre
Età moderna
Gli archivi come "arsenali" del potere
Con l'inizio dell'età moderna e la formazione delle monarchie nazionali, gli archivi diventarono necessari ai fini dell'esercizio del potere e della consultazione dei documenti da parte dei sovrani. Gli archivi in quest'epoca furono definiti dei veri e propri "arsenali del potere" (o arsenal de l'autorité), cioè strumenti a disposizione del sovrano, e crescono in funzione dell'attività del governo[10]. Tra questi si ricordano principalmente l'Archivio generale di Castiglia, l'Archivio di corte a Vienna (oggi Archivio di Stato Austriaco), istituito da Maria Teresa col nome di Geheimes Hausarchiv (ossia Archivio di Corte), l'Archivio di Corte a Torino, oggi sede dell'Archivio di Stato di Torino e l'Archivio napoleonico di Parigi.
Inoltre, sul finire del XVIII secolo i nobili italiani godevano di una serie di prerogative che, però, dovevano essere dimostrate davanti al tribunale araldico: si sentì la necessità di creare degli archivi "nobiliari", affidando l'opera di riordinamento agli archivisti.
A fianco degli archivi laici, si vennero a formare dal XVI secolo gli archivi ecclesiastici, in seguito alle disposizioni disciplinari emanate dal Concilio di Trento (1545-1563) che obbligavano i parroci a tenere i registri dello stato delle anime, così come dei battesimi, dei matrimoni e dei funerali. Agli inizi del XVII secolo, papa Paolo V (1605-1621) decise infatti di creare un archivio che raccogliesse le carte di governo dello Stato della Chiesa. Si trattava del nucleo di quello che verrà chiamato successivamente Archivio Segreto Vaticano
Il XIX secolo
L'archivio come "memoria storica"
Nel corso dell'Ottocento, l'archivio da memoria di auto documentazione (ovvero ha una funzione esclusivamente pragmatico-amministrativa per il soggetto produttore) diventa fonte della memoria collettiva: i documenti, quando smettono di funzionare per il soggetto che lo produce, assumono un'importanza storica agli occhi di altre persone, in primis gli studiosi, che non l'hanno prodotto. Oltre al granduca Pietro Leopoldo che creò nel 1778 il Museo Diplomatico di Firenze, si ricordano anche la creazione, nel 1790, dell'Archivio Nazionale francese ad opera dell'Assemblea Nazionale
Verso il finire del '700, vengono creati dei grandi depositi che perdono il collegamento con la cancelleria di provenienza, in seguito alla soppressione di enti religiosi o di magistrature civili. Il tutto è finalizzato in un'ottica razionale, finalizzata alla ricerca immediata di determinati atti da parte delle autorità pubbliche secondo la materia trattata. I documenti così ordinati secondo lo spirito illuminista (si pensi all'Encyclopèdie di Diderot e d'Alambert, ma anche ai testi di Pierre Camille Le Moine, Diplomatique pratique, 1765 e di De Chevrières, Le nouvel archiviste, 1775) trovarono un primo luogo di sviluppo a Vienna, e poi in in Lombardia grazie all'archivista Ilario Corte prima e poi a Luca Peroni.
Nella seconda metà dell'Ottocento, però, vi fu una reazione nei confronti del metodo per materia. In Francia, su proposta dello storico Natalis de Wailly, il ministero degli Interni emanò una circolare (le Instructions del 24 aprile 1841) in cui si stabilisce il principio di provenienza o rispetto dei fondi. Questo principio, già diffuso in Danimarca e nel Regno di Prussia, profondamente antitetico rispetto al precedente, fu accolto poi in Italia dal toscano Francesco Bonaini il quale estremizzò tale metodo dando origine al metodo storico, ossia alla ricostruzione storica del soggetto produttore e del fondo da esso creato per la migliore comprensione della struttura del fondo in questione. Si pose in tal modo la teorizzazione, in Italia, del moderno ordinamento archivistico.
Tra XX e XXI secolo
L'archivio come bene culturale
Una prima definizione internazionale degli archivi come beni di interesse culturale risale alla Convenzione dell'Aja del 1954 (ratificata in Italia nel 1958), dove si citavano i beni artistici, architettonici, archeologici, librari e archivistici "di grande importanza". La Conferenza Generale del 1970, voluta dall'UNESCO, riconobbe agli "archivi, compresi i fonografici, fotografici e cinematografici" le misure atte a impedirne l'illecita importazione, esportazione o trasferimento di proprietà.
In Italia, il processo per il riconoscimento a livello legale degli archivi come beni culturali fu lungo e complesso, in quanto partì soltanto dall'Istituzione del Ministero dei beni culturali nel 1975 e proseguì fino all'emanazione dell'attuale codice del 2004.